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La Settimana di Pandolfini

ANTONIO LIGABUE E LA FARFALLA BIANCA

Non è ben chiara la datazione del primo autoritratto di Antonio Ligabue, si fa riferimento al 1940 come data della realizzazione del primo dipinto e non vi sono tracce di altri autoritratti fino al 1950, se non di un’opera dove si ritrae di profilo datata 1942. Si pensa che dal ’40 al ’50 potrebbe avere realizzato altri autoritratti dispersi nel tempo, di sicuro non si è ritratto negli anni che vanno dal 1944 al 1947. Nel 1945 fu internato al manicomio di San Lazzaro a causa di una psicosi maniaco-depressiva, venne poi trasferito all’ospedale di Lombroso dove resterà ricoverato fino al 1948. Ebbene in tutti gli anni di ospedalizzazione non realizzò mai un autoritratto, nonostante fosse libero di dipingere, di ricevere visite e di uscire dall’ospedale in occasioni speciali, possiamo supporre che non fosse in possesso di uno specchio, ma perché allora non esistono autoritratti nell’anno precedente, ossia nel 1944, e ancora perché se ha iniziato a dipingere già verso la fine del 1920 non si ha nessuna traccia di nessun autoritratto fino al 1940? Approfonditi studi non hanno ancora svelato l’arcano. Si sa però che riuscì a far recapitare un autoritratto a Luigi Bartolini grazie al direttore dell’Istituto Psichiatrico dell’Esquirol, possiamo presupporre che Antonio Ligabue disponesse quindi di uno specchio per ritrarsi e che con ogni probabilità gli fu successivamente sottratto.

In ogni caso non dobbiamo intendere gli autoritratti come una sorta di autobiografia ma come pura espressione della sua arte, difatti non ci raccontano le sue turbolenze dell’anima, tantomeno i suoi strampalati pensieri, ma semplicemente possiamo intenderli come pura pittura.

A conferma di questa teoria sono i dettagli che si possono trovare in alcune degli autoritratti realizzati da Antonio Ligabue, ossia: la mosca e la farfalla.

La farfalla bianca per Ligabue presenta la qualità eccelsa che lui stesso dava alle sue opere. Quando un giorno gli venne chiesto cosa significasse la farfalla presente in alcuni suoi autoritratti egli affermò: Questo è il premio che mi do quando un quadro mi soddisfa più di un altro.

La dichiarazione di Ligabue conferma che si tratta solo di pura pittura senza nessun altro significato.

La farfalla sottolinea la qualità dell’opera stessa, un criterio implacabile di Ligabue nei riguardi dei suoi autoritratti.

Sono solo cinque le opere (autoritratti) dove è presente la farfalla, due sono datati 1953, uno dei questi due sarà presentato nella nostra prossima asta il 22 giugno, un Autoritratto del 1953, proveniente da una collezione privata, acquistato direttamente da Ligabue e uscito dalla dimora del collezionista solo in occasione di alcune mostre come quella tenutasi a Palazzo Reale, Milano nel 2008, Antonio Ligabue, L’arte difficile di un pittore senza regola, o ancora nel 1996 presso il Comune di Gualtieri, in occasione della mostra Antonio Ligabue. Nel trentennale della morte, curata da Augusto Tota.
Gli altri tre sono rispettivamente del 1956, 1957 e 1958.
Solo cinque gli autoritratti contrassegnati con una produzione che ne comprende centoventitre, e come dichiara Pascal Bonafoux, in Brevi riflessioni sugli autoritratti di Ligabue:
Il fatto che Ligabue abbia contrassegnato solo cinque dei suoi 123 autoritratti non significa che i restanti 118 siano indifferenti. La farfalla di Ligabue riveste lo stesso ruolo che aveva la firma per Vincent van Gogh (1853-1890). Il pittore olandese confidava al fratello Theo di firmare solo le tele di cui era soddisfatto, e questo accadeva una volta su dieci… Quanto agli autoritratti di Van Gogh, una quarantina, non tutti sono firmati. E anche in questo caso è fuori questione disprezzare quelli che non lo sono. Queste opere sono, a ragione, i rivelatori più veritieri della ricerca pittorica dell’artista. E il modo più sicuro, più disponibile ed economico di mettere alla prova i risultati di questa ricerca è usare se stessi come modelli, senza rischiare contestazioni una volta finito il lavoro. Quando Vincent van Gogh dipinge se stesso non ritrae un uomo stanco, esasperato, dedito all’alcol, minato dalla sifilide, instabile, fragile, malato… dipinge semplicemente Van Gogh, indipendentemente da tutto quello che lo consuma, lo opprime e lo distrugge. Dipinge una maestria che trascende ciò che subisce e lo ferisce giorno dopo giorno.
Allo stesso modo Ligabue non ritrae i segni di ciò che lo ossessiona e lo minaccia. I ritratti che fa di se stesso non sono dei bollettini medici, e l’intensità dello sguardo verso lo spettatore è quella di un uomo che scruta lo specchio con un fervore fuori dal comune perché si sta dipingendo. I suoi autoritratti non hanno niente a che fare con una crisi esistenziale, con una malinconia, una paura o un’inquietudine… Anzi, lui sa che ritrarre se stesso significa tenere testa a tutte queste minacce, scongiurarle.
Gli autoritratti per Ligabue sono delle sperimentazioni e raccontano il processo di elaborazione dell’opera, ciascuno di essi mostra l’evoluzione della ricerca e la sua identità di pittore.

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