
UNA VENEZIA IMMAGINARIA?
Furono proprio i pittori di veduta – Gaspare Vanvitelli a Roma e Canaletto a Venezia – a disegnare nella prima metà del Settecento l’immagine della città dove erano nati o avevano deciso di esercitare il proprio talento, creando delle vere e proprie icone (il Colosseo o il Ponte di Rialto, ad esempio) che le avrebbero per sempre identificate. Furono loro, soprattutto, a fissare le immagini che ancora adesso, a quasi tre secoli di distanza, condizionano le nostre aspettative su quei luoghi, destinate a infrangersi su una realtà contemporanea ormai radicalmente diversa.
Anche per questo motivo, oltre che per l’esattezza dei singoli dettagli, si è voluto attribuire a quelle immagini un carattere di verità che tuttavia, una volta messo in discussione, non ha sempre retto alla prova dei fatti o, più precisamente, alla realtà che la moderna tecnologia ci consente di verificare. Per primo lo ha dimostrato Antonio Corboz, autore nel 1985 di uno storico volume: Canaletto. Una Venezia immaginaria.
Si è visto ad esempio che i punti di vista apparentemente adottati dal pittore, e a volte esplicitamente dichiarati nel primo piano, non gli avrebbero consentito in realtà di abbracciare un panorama così esteso come quello che egli ha riprodotto nella veduta dipinta. Viceversa, un punto di vista alla giusta distanza non avrebbe potuto mostrare con tale chiarezza i singoli elementi che sono invece restituiti con ricchezza di particolari nel dipinto completato.
La veduta del bacino di San Marco dalla Riva degli Schiavoni non fa eccezione a questa regola. Per abbracciare un panorama che includesse, come nel nostro dipinto, il tratto di orizzonte che va dall’Isola di san Giorgio alla chiesa della Pietà, il pittore avrebbe dovuto trovarsi sull’acqua del Bacino, ma le chiese e i palazzi che compongono la nostra veduta gli sarebbero apparsi piccoli e lontanissimi. Dalla Riva degli Schiavoni, invece, Canaletto non avrebbe visto molto più in là del Palazzo Ducale e della Piazzetta.
Ciò nonostante, la veduta che Antonio Canal dipinse in due esemplari basandosi su un disegno che, non a caso, non ne comprende gli estremi restituisce l’intima verità di luoghi che egli conosceva come pochi altri per averne riprodotto i minimi particolari nel taccuino che fin dalla giovinezza lo aveva accompagnato.
Sappiamo del resto che la verità di un’opera d’arte, sia essa poesia, pittura o dramma, riguarda la sua verosimiglianza, ovvero l’interna coerenza, e ha spesso molto poco a che fare con la realtà come la immaginiamo o crediamo di poterla misurare.